Spesso la documentazione storica di natura contabile non è tra quelle preferite dai ricercatori, in quanto si parte dal preconcetto che i numeri sono aridi. Invece essi ci possono raccontare tanto, soprattutto se questi sono rintracciabili tra i documenti degli antichi banchi pubblici napoletani operativi tra la fine del XVI alla fine del XVIII secolo. Le fedi di credito, i libri maggiori, i giornali copiapolizze, le pandette conservate nell’Archivio Storico del Banco di Napoli, per le loro caratteristiche, uniche nel loro genere, ci permettono di far luce su quel momento così triste per Napoli e il Mezzogiorno, la peste del 1656, in modo un po; diverso da quello al quale sono abituati gli studiosi del morbo che dimezzò in pochi mesi la popolazione della città di Napoli.
Queste istituzioni ebbero una grande importanza in quel periodo, perché, oltre a dimostrare che le attività economiche non si fermarono, erogarono migliaia di ducati per aiutare l’amministrazione cittadina ad affrontare l’emergenza. Su questi documenti si possono seguire non solo tutti i pagamenti effettuati per i bisogni cittadini, ma anche quanto costò l’epidemia al governo centrale e come furono spesi i soldi, come si andò incontro ad una popolazione allo stremo, quali furono le modalità con cui si arginò l’epidemia e la loro efficacia. E sorge spontaneo fare un parallelismo con quanto sta accadendo in questi giorni drammatici che sta vivendo tutta l’Italia.